A cura di Andrea Scalise e Luca Moscetta
Cos’è e a cosa serve
Una muraglia verde è definita come una lunga fascia di vegetazione, costruita artificialmente, che può estendersi per centinaia o migliaia di chilometri. Questa fascia di vegetazione viene chiamata “Muraglia” in riferimento alla Grande Muraglia Cinese, in quanto la prima sperimentazione del progetto è avvenuta proprio in Cina, per contrastare l’avanzata del deserto del Gobi, nel nord del Paese.
La creazione di un progetto simile ha affascinato l’uomo sin dal dopoguerra. Nel 1952 il biologo Richard Baker, dopo una spedizione nel Sahara, fu il primo a ideare una barriera vegetale in grado di contrastare l’avanzata del deserto africano. La creazione di una fascia di vegetazione così vasta serve per due ragioni principali: fermare l’avanzata della desertificazione e migliorare l’economia, sia locale che globale.
La grande presenza di vegetazione in una regione prima arida permette un maggiore smaltimento di CO2, migliorando le condizioni climatiche e contribuendo ad ottenere un ambiente migliore per la sopravvivenza della vegetazione. Il problema economico, invece, è conseguente alla mancanza di terre coltivabili, che portano a una crescente povertà, dalla quale può derivare instabilità politica. Le grandi aziende faticano a portare avanti i loro progetti in quanto sfruttano in poco tempo le poche risorse ambientali in maniera intensiva, rendendo il terreno arido e costringendo le imprese più piccole a spostare i propri interessi in altre aree. Ciò comporta mancanza di posti di lavoro per la manodopera locale, che la creazione di una muraglia verde riuscirebbe a contrastare.
Che cos’è la desertificazione?
Uno degli scopi principali alla base della creazione di una muraglia verde è limitare e contrastare la desertificazione. La desertificazione è uno dei problemi principali del nostro tempo, legato al cambiamento climatico e al riscaldamento globale. Capiamo insieme cosa si intende quando utilizziamo questo termine.
La desertificazione è un processo climatico-ambientale che provoca il degrado e la sterilità di un terreno, con la conseguente difficoltà nel coltivarlo. Ciò è dovuto al cambiamento climatico all’interno dell’area interessata, piuttosto che ad azioni artificiali che ne compromettono l’equilibrio biologico. Il processo di desertificazione è molto pericoloso, in quanto comporta il rischio di desertizzazione, che consiste nella trasformazione effettiva del suolo in deserto. Per utilizzare una metafora, si può pensare al suolo come un contenitore di sostanze nutritive. Se queste sostanze vengono sfruttate così intensamente, il terreno diviene sterile e ciò porta alla desertificazione.
In cosa consiste l’iniziativa?
La presa in considerazione e la successiva attuazione dell’idea di Baker dovette attendere 50 anni fino al periodo tra 2002 e 2007 in cui una serie di organizzazioni mondiali come l’Unione Africana e l’ONU, finanziate dalla Banca Mondiale e altri enti per un totale di 3 miliardi di dollari decisero di mettere in atto il più grande intervento umano di modifica territoriale della storia.
Il progetto consiste nella riforestazione della regione del Sahel, confine tra il deserto del Sahara e l’inizio della savana africana.
Comprende una fascia territoriale che si estende per 7800 km in lunghezza (sei volte l’Italia) e per 15 km in larghezza, toccando 11 paesi del continente africano.
La mappa dell’impresa della Grande Muraglia Verde
L’obiettivo è quindi quello di combattere l’effetto del cambiamento climatico frenando l’avanzata della desertificazione restaurando 100 000 km2 di suolo, con la conseguente estrazione, entro il 2030, di 250 milioni di tonnellate di CO2 e la creazione di 10 milioni di posti di lavoro.
Concretamente l’iniziativa punta a piantare alberi e piante in una zona che tende a diventare un deserto.
Il Sahel è una regione vastissima e le tecniche impiegate per realizzare questo progetto sono molte, tra le tante però ce ne sono due particolarmente efficaci.
La prima consiste nel rivitalizzare un suolo degradato scavando delle fossette per trattenere meglio l’acqua. Queste fossette vengono riempite con del compost che fornisce i nutrienti necessari alle piante per farle germogliare, in questo modo è possibile piantare e far crescere delle colture aumentando la fertilità del suolo che le ospita.
La seconda invece, punta a “riportare in vita” degli alberi già abbattuti invece che piantarne di nuovi. Infatti, il tronco di un albero abbattuto non è necessariamente morto e continuerà a far germogliare arbusti.
L’unico problema è quello di controllare la corretta crescita di questi proteggendoli dai pascoli e dagli animali selvatici, racchiudendoli in degli appositi recinti.
Proteggendo la pianta e selezionando degli specifici germogli da far crescere si può dare nuova vita ad un albero abbattuto.
Le due tipologie di colture, a sinistra le fossette (1) a destra la rifioritura di un arbusto (2)
Vantaggi e problematiche
Le problematiche legate a un progetto così vasto e ambizioso sono complesse. In primis, il progetto ha come data di realizzazione il 2030, ma ad oggi è stata realizzata solo il 15% della Muraglia. Una delle cause principali del rallentamento dei lavori è da imputare alla moltitudine di Paesi e di enti, regionali e internazionali, coinvolti nel progetto che aumentano il livello di burocrazia rallentando lo sviluppo dell’impresa.
Fra le cause maggiori dei rallentamenti c’è sicuramente la mancanza di fondi.
Nel 2007 la cifra stimata per l’ultimazione dei lavori fu di 33 miliardi, ma solo una piccola cifra è stata davvero stanziata per il progetto fino a qualche anno fa. Nel gennaio del 2021, durante il vertice mondiale per il clima chiamato One Planet, sono stati stanziati oltre 14 miliardi da spendere entro il 2025. Questa somma di denaro può contribuire notevolmente all’accelerazione della costruzione della Muraglia, ma è ancora lontana dalla cifra stimata inizialmente per l’ultimazione del progetto.
Infine un’altra problematica è collegata all’instabilità politica e alle organizzazioni terroristiche presenti nella maggior parte dei Paesi africani che causano numerosi rallentamenti e imprevisti durante i lavori.
Le insidie però non sono legate soltanto agli aspetti politico-economici, ma anche alla salvaguardia della fascia di vegetazione. Il progetto della Muraglia Verde è stato già applicato in Cina con il fine di arrestare l’avanzamento del deserto del Gobi. Purtroppo il progetto cinese è fallito per due ragioni principali.
La prima è che fu piantata solo un tipo di vegetazione, che non si sposava con l’ambiente circostante. La seconda, è stata la difficoltà nella comunicazione con gli agricoltori locali, che ha portato a una mala gestione delle piante stesse.
Al fine di non commettere nuovamente tutti questi errori l’opera di vegetazione della Grande Muraglia nel Sahel è stata realizzata dialogando con gli agricoltori locali al fine di individuare a seconda della zona le tipologie di colture più adeguate. Un esempio è l’albero di acacie, molto resistente alla siccità poiché riesce ad immagazzinare e trattenere grandi quantità di acqua nelle sue radici.
L’eterogeneità delle colture inoltre è molto importante per rivitalizzare il commercio e a garantire una dieta diversificata sia alla popolazione che alla fauna locale. Infatti, oltre a risolvere la tematica ambientale questa iniziativa ha anche l’obiettivo di rivitalizzare l’economia, generando nuovi posti di lavoro e sensibilizzando il commercio, dando nuovo slancio ai paesi in via di sviluppo del continente africano.
Lo studio “Economic efficiency and targeting of the African Great Green Wall” pubblicato su Nature Sustainability sostiene la tesi secondo cui la Grande Muraglia Verde sia economicamente conveniente. L’analisi effettuata, prendendo numerosi fattori a breve e a lungo termine, porta alla conclusione che, a fronte di ogni dollaro investito, il ritorno economico sia di un dollaro e venti centesimi, con un guadagno finale quindi del 20%. La stima effettuata è comunque relativa, in quanto molte variabili, come ad esempio la sempre presente instabilità politica, rendono impossibile una previsione precisa e affidabile al 100%.
La moltitudine di Paesi ed enti, nazionali e internazionali, che partecipano al progetto possono essere un fattore molto positivo come negativo. La soluzione a questo dubbio arriverà dopo i prossimi anni, probabilmente dopo il 2025, anno in cui verranno discussi gli avanzamenti nel progetto e i possibili nuovi investimenti. Una cosa è certa: in questi anni il lavoro dovrà procedere spedito come non ha mai fatto prima, se si vuole concludere il più grande progetto mai esistito per combattere la desertificazione e gli effetti del cambiamento climatico.